• +39-055-412014
  • h.gutierrez@villaaurora.it
  • Via Ellen Gould White 8, Firenze
Blog
Doni, talenti ed istinto vitale

Doni, talenti ed istinto vitale

Non solo i credenti ma ogni essere umano riceve da Dio e dalla natura dei talenti e dei doni. E’ vero che alcuni sembrano essere più talentuosi di altri.

Questo può essere vero a condizione di capire e definire meglio ciò che è un talento e un dono e di riconoscere il fatto che ognuno di noi nasce con dei talenti e che durante la nostra esistenza facciamo l’esperienza ripetuta di questa generosità della vita nei nostri confronti.

Questo fatto positivo purtroppo convive anche con la storia parallela d’un spreco diffuso e ripetuto dei propri talenti.

Di fronte dunque ai talenti e ai doni non c’è una storia lineare ne riguardo alla ripartizione iniziale, ne riguardo alla gestione, ne riguardo all’esito finali dei doni e dei talenti umani.

Potremmo dire che la vita è più democratica malgrado tutto e che tutti riceviamo comunque e sempre dei doni e dei talenti.

E’ anche vero il fatto che non tutto ciò che sembra essere talento sempre lo sia, come non tutto ciò che non sembra essere un talento, di fatto non lo sia.

Ma nello sviluppo della vita concreta talenti dati e talenti coltivati sembrano poi confondersi fino a non poter distinguere fra talenti dalla nascita e talenti coltivati con fatica.

Molti dei talenti che a noi appaiono naturali sono invece acquisiti con fatica. E molti talenti coltivati con fatica sono originalmente talenti naturali.

Ma anche atteggiamenti comuni che uno non considererebbe talenti invece lo sono, come anche apparenti talenti in realtà non lo siano.

Solo posiamo concludere che i talenti e i doni quando ci sono e sono coltivati danno un senso di benessere non solo per chi ne gode i benefici dall’esterno ma anche per il soggetto stesso che li possiede per il senso di pienezza, compiutezza e di realizzazione che questi creano in noi.

Delle visioni elitiste e settoriali dei doni e talenti sono sempre esistite. Spesse volte utilizzate per creare dominio di alcuni pochi su tutti gli altri.

E’ questa la visione elitista dei doni e talenti di Platone nella Repubblica dove quei pochi, i virtuosi, con talenti e doni (repubblica aristocratica) sono chiamati a governare e a dominare sugli altri.

Il Nuovo Testamento rovescia questo paradigma elitista, e stabilisce, col “Sacerdozio universale”, una uguaglianza trasversale di tutti i credenti.

La riforma protestante farà sua questa trasversalità democratica riconoscendo a tutti i credenti il dono ed il talento di gestire la propria vita di Fede senza nessuna mediazione.

Il problema è che l’interpretazione di questo universalismo neotestamentario e la ripresa che ne fanno i riformatori non è stato totalmente democratizzante perché solo ai credenti viene riconosciuta questa prerogativa.

Bisogna invece partire da una base umana e non spirituale nella definizione della portata dei doni e talenti. I talenti e i doni sono ed evidenziano una realtà antropologica di base presente in tutti.

Essi delineano i contorni di ogni esistenza. Una realtà legata al nostro essere di base, a ciò che veramente siamo e non solo, come a volte sembra, una dimensione secondaria, successiva e puramente gestionale della nostra vita. In altre parole, i talenti e i doni non dicono soltanto che cosa noi facciamo o come gestiamo la nostra vita ma manifestino piuttosto ciò che è la nostra vita in se stessa, nella sua essenza più intima.

E proprio per questo motivo, i talenti e i doni spirituali, intesi come ministero, missione e incarico divino, devono essere intesi come una dimensione aggiunta, un incarico speciale ulteriore, che si somma a dei talenti e dei doni ancora più fondamentali che coincidono con la nostra natura umana in se.

Che cosa dunque evidenzia questa base antropologica dei talenti e doni?

Semplicemente ciò che i greci chiamavano “eudemonia”.

“L’eudomonia” non è fedeltà ad un affidamento esterno ma à fedeltà a se stessi.

Fedeltà ai propri talenti e doni interni. I doni ed i talenti primari non vengono dal di fuori ma dal di dentro. Ogni essere umano ha un “telos” (teleologico) un traguardo proprio che gli viene dalla sua stessa natura.

I traguardi esterni (scopos) hanno certo una importanza ma sono dei traguardi derivati.

Per questo motivo e su una base antropologica Massimo Recalcati, riprendendo J. Lacan dirà che il peccato più grande è quello di “andare contro il proprio desiderio”.

Il proprio desiderio qui è da intendersi non come arbitrio, capriccio o peccato ma come fedeltà al proprio talento, al proprio dono. La Bibbia sembrerebbe essere agli antipodi di questo.

Invece no.

Perché tramite il concetto di “fioritura” (salmo 1:3) il salmo esprime una visione simile dei talenti e dei doni.

Il principale talento e il principale dono, l’istinto primordiale che ogni essere umano riceve, prima addirittura dei doni spirituali, è il dono ed il talento della propria vita, il senso della sopravvivenza, la resilienza del proprio essere.

E questo talento e dono appartiene ad ogni essere umano.