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La perdita dei riti di passaggio e l’indebolimento della Fede

La perdita dei riti di passaggio e l’indebolimento della Fede

Il prostestantesimo è nato da una protesta radicale contro tutto ciò che non è direttamente collegato alla fede così come questa è descritta nella Bibbia. Questo atteggiamento ha liberato la fede di appesantimenti e di mediazioni inutili dando immediatezza e brio all’esperienza religiosa. Ma questo stesso atteggiamento nella sua foga iconoclasta  ha smantellato un interstizio di eventi ed esperienze che pur indirette e parallele garantivano nel passato la sopravvivenza e la qualità della fede stessa. A questo interstizio di vita appartengono i ritti di passaggio che il protestantesimo tende a cancellare e quando li mantiene preserva in loro solo l’aspetto funzionale più visibile. La critica e lo smantellamento di questo interstizio religioso e culturale vede insieme il protestantesimo ed il mondo moderno ed è infatti al loro interno che si verifica più visibilmente un logoramento qualitativo della fede e della coesione comunitaria.

Un rito di passaggio è un rituale che segna il cambiamento di un individuo da uno status socio-culturale ad un altro. Questi cambiamenti riguardano tutto il ciclo della vita individuale: la nascita, la scuola, l’adolescenza, il fidanzamento, la professione, il matrimonio, la menopausa, la morte. Anche altre situazioni connesse ad avvenimenti biologici, possono essere gestite socialmente mediante tale tipologia di riti. Il rituale si attua, il più delle volte, in una cerimonia o in prove diverse più meno istituzionalizzate all’interno di un gruppo. I riti di passaggio permettono di legare l’individuo al gruppo, ma anche di strutturare la vita dell’individuo a tappe precise, che permettono una percezione tranquillizzante dell’individuo nel rapporto con la sua temporaneità e con la sua mortalità.

L’esperienza religiosa tradizionale non cristiana e anche quella cristiana pre-moderna, era inserita e coincideva per molto con questi passaggi di vita è sarebbe stata incomprensibile senza questi perché da questi passaggi riceveva il ritmo e la cornice del proprio significato. L’ethos protestante e l’ethos moderno nella ricerca di una efficacia immediata e diretta hanno evacuato questi momenti rendendo cosi di fatto la fede e la vita delle esperienze puramente lineari cariche di risultati ma fragili nella loro struttura.

Nella materia liquida e fluida (Z. Bauman) di questo tempo che indebolisce ogni gerarchia, i conflitti tra le generazioni sembrano passati di moda. Si è imposto uno schema lineare orizzontale a cicli brevi tutti tesi al raggiungimento immediato di senso e di beneficio. Tutte le tappe si equivalgono o hanno soltanto una differenza quantitativa e di proporzione. Si è sfumata la differenza qualitativa fra i diversi stadi della vita che richiedeva appunto una mediazione rituale di vita. Genitori e figli si trovano vicini all’improvviso, tanto nei comportamenti quanto nel modo di guardare il mondo, in famiglie che, invece di essere allargate, sono “allungate”. Al posto del classico rapporto di subalternità, compare cosí una condizione piú complice e paritaria, che in alcuni casi si trasforma in vera e propria amicizia. Un fatto all”apparenza positivo, ma che nasconde una questione cruciale: non è sulla frattura condivisa tra giovani e adulti che si struttura l’identità? Marco Aime e Gustavo Pietropolli Charmet nel loro libro, “La fatica di diventare grandi. La scomparsa dei riti di passaggio” (Einaudi 2014) affrontano la progressiva svalutazione di quei riti di passaggio, come la leva militare, il fidanzamento, l’università ecc, che scandivano fino a ieri lo sviluppo del nostro ruolo sociale, e le sue conseguenze.

La religione moderna in generale ed in particolar modo il protestantesimo ed il avventismo, han pensato che nella Fede religiosa sia importante solo il “nocciolo della fede” e non “i contorni della Fede”. Il risultato è stato l’emergere d’ una religione lineare  e formale a base di ragione e di volontà e senza un senso profondo di radicamento ne nel gruppo ne nei simboli. La dispersione, l’isolamento, il formalismo, la disgregazione sono quindi diventate diffuse e trasversali. Ma il risultato peggiore di questa disgregazione spirituale e di vita si manifesta a livello emotivo. Perché questa situazione a fatto emergere ciò che lo psichiatra franco-argentino Miguel Benaseyag chiama “L’epoca delle passioni tristi” (Feltrinelli 2004). L’uomo ed il credente contemporaneo infatti si muovono in un ambiente, interno ed esterno, di tristezza e melanconia, fra cinismo ed efficienza, senza capire ne poter gustare l’essenza della religione e della vita al cui centro si trova certamente l’esperienza liberatoria e messianica della “Gioia”.